SUPERSANTOS, il cortometraggio


martedì 13 maggio 2008

Racconto di terra – di mare – di vulcani - violenza e bellezza

di Assunta Patrizia Esposito


 

Questo è il mio paese, abitato da tredicimila anime.

Una collina sul mare che non è più una collina, perché ormai coperta quasi del tutto, dal cemento delle case, dal bitume delle strade, e dal rumore assordante di auto che schizzano veloci, in una piazza che non è una piazza.

Monte di Procida, ultimo lembo di terra ad ovest del Golfo di Napoli, la collina che chiude la 'caldera' dei Campi Flegrei, che quassù, da Bellavista si distende come una mappa dei sogni, tra cielo, isole, colline, laghi e mare, in uno scenario che dall'altro appare ancora fiabesco.

Conosco molto bene l'odore del bitume, ho abitato per anni nella nebbiosa Milano, nella 'violenza' del cemento, e del rumore assordante delle auto o di tutto quello che si chiama 'civiltà' occidentale.

La 'violenza' la senti sulla pelle, attraverso il pulviscolo che penetra i pori, poi nel naso e nella bocca con gli odori ed il sapore del bitume, dei gas di scarico delle auto, e dei materiali ferrosi; e la senti negli occhi con le strutture ortogonali di palazzi ad architettura cd. funzionale fino a che gli stessi occhi, colpiti continuamente dalle linee rigide di strade ed edifici si indolenziscono e non registrano più 'i particolari'. E così ti accorgi di essere diventato un automa, la tua mente ha smesso di 'apprendere' i particolari essenziali, 'viaggiando' per 'geometrie ortogonali' proprio come un diagramma cartesiano, pensando di 'essere' perché 'pensa' di essere, ma non lo è in realtà.

Questo è il dramma di una città 'civile' come Milano o come New York.

Ma qui… ad Ovest della 'Caldera' dei Campi Flegrei, qui… sulla 'Terrazza' di un 'mondo mitico', qui… dove ogni luogo evoca radici antiche, potrebbe essere diverso, e non lo è.

Monte di Procida, originariamente Mons Cumanus, rigogliosa e selvaggia collina a ridosso della città di Cuma fu un villaggio (demo) della antica polis.

Si dice che essa nacque nella notte dei tempi, millenni e millenni lontana, quando nel mare antistante la Costiera di Capri-Circeo, si scatenarono conflagrazioni subacquee e convulsioni telluriche, e si sollevarono gigantesche fontane d'acqua bollente, colonne immani di magma incandescente, e soffioni altissimi di vapori densi fuoriusciti con apocalittica violenza.

Di quei tempi remoti, ripetutisi in episodi limitati, ci sono arrivati gli echi nel mito della lotta dei Titani contro Giove, nell'area cumana, di Tifeo imprigionato sotto il turbolento Epomeo e di Mimante, dormiente sotto l'isola di Procida.

Ed è questo ciò che vedo affacciandomi da Bellavista, ecco lì Misenum, il compagno di Enea per alcuni autori, il compagno di Ulisse per altri,

comunque, 'chiesto in sacrificio' da Poseidone per il 'percorso nell'Ade dell'eroe'.

Da località 'Cercone' la spiaggia Romana e l'insediamento della città Cumana con in fondo verso Nord, ma proprio in fondo, le propaggini del Lago di Licola nella Piana della Campania; a Sud-ovest ecco qui il Grande Tifeo e, disteso ai suoi piedi Mimante. Tutto questo io, posso quasi toccarlo e con il cuore sentire di avere radici antiche;

Monte di Procida! …'è una tronca piramide che splende ammantata di viti e di leggende'…(P.F.Scalise) …

Le mie radici, tanto antiche che il dolore del presente è uno schianto, per come Monte di Procida è diventata adesso, oggi, nell'anno duemilauno.

Le 'Caldere' si sa, sono il risultato di un fenomeno geo-fisico. Si formano per effetto di 'grandi esplosioni vulcaniche' determinate da terremoti di grande portata. Quasi sempre si formano in 'luoghi' che sono già vulcaniche, ed i Campi Flegrei non per altro sono un insieme di vulcani a cielo aperto.

Poseidone, il dio del mare, riconosciuto già nelle culture antiche, l'artefice di fenomeni specificatamente plutoniani: è per Omero e per i Greci il Dio che scuote il suolo e fa tremare la terra. Nel XX canto dell'Iliade, quando gli dei si apprestano a prendere parte alla battaglia, Zeus fa sentire il suo tuono nell'alto del cielo: "Quanto a Poseidone, egli scuote la terra immensa e le alte vette delle montagne; e tremano le radici dell'Ida dalle numerose sorgenti, così come la città dei Troiani e le navi dei Greci".

E' a Poseidone – dirà – Decharme – che i greci attribuivano i terremoti, credenza che si spiega in questo paese in cui tali fenomeni si verificano soprattutto nelle isole dell'arcipelago, accompagnati dall'eruzione di vulcani sottomarini. Questi flagelli terribili erano considerati come gli effetti della collera di Dio, che si cercava di placare con sacrifici e preghiere speciali.

Le 'caldere' hanno questo nome, solo perché nell'esplosione una parte viene tirata giù nelle viscere del mare, e così il 'gigantesco vulcano' perde, una parte di sé, una 'metà', lasciando il posto ad insenature ed isole. Mi ricordano le onde 'Tsunami' e l'esplosione di Santorini nel lontanissimo 1500 a.c. e di recente l'esplosione del Krakatau (nell'oceano indiano) nel 1887.

Fu così per le Cicladi e le Sporadi, per Caria e Cos, per Thera e per i Campi Flegrei che generò Scheria.

Dall'alto di Miseno riesco a vederla a trecento sessanta gradi la 'caldera' dei Campi Flegrei, con i suoi due immensi seni (l'una che da punta Posillipo giunge a Pozzuoli, l'altra che si ferma a Punta Epitaffio, poi, Baja fino al Promontorio di Miseno guardando verso est, ed il lembo della spiaggia di Miliscola con il lago Maremorto, infine, il Monte di Procida, con il punto più alto a circa 140 m di quota in quel di Monte Grillo, guardando verso ovest. All'orizzonte, ad Est il Vesuvio e la penisola Sorrentina e con l'isola di Capri, scoglio che come una 'sfinge' sorride sorniona in lontananza; e ad ovest Ischia e Procida in tutta la loro antica selvaggia natura; seguo con lo sguardo il percorso ellittico del sole che all'alba sorge sul Vesuvio e al tramonto è verso ed oltre Ischia.

Sole e lava un tempo, questa terra, con i 'centri magnetici' verso est e verso nord, dove vennero costruiti i templi di Venere e di Apollo dai Greci e dai Romani, tra Cuma e Baja, dove ancora puoi sentire se ascolti bene, 'la voce profetica' della Sibilla, e ammirare qualche 'darsena' degli antichi porti militari, tra l'Averno e tutto il promontorio di Miseno.

Sullo sfondo è Cuma, l'ammiri ancora con stupore misto a un senso di venerazione, sapendo che lì in quella rocca si aprì il libro della storia dell'Italia. Cuma o Iperea come fu chiamata dai Feaci: 'l'alta', la terra dei Ciclopi, giganti 'dall'occhio rotondo'.

Alcune fonti asseriscono che, Cuma fu fondata l'VII sec. A.c. da Calcidesi e Cumani, guidati dagli ecisti Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, l'uno diede il nome della sua città, l'altro le leggi; altre, che essa fu precedentemente abitata dai Feaci, l'anziano Nausitoo il primo re dei Feaci viene indicato nell'Odissea come colui che regnava su di essa in relazione con i Giganti, prima di lasciarla per Scheria, 'la nera' : Ischia.

"I Feaci abitavano Cuma, all'inizio della vasta piana della Campania, a quattro leghe nell'ovest del luogo dove in seguito sorgerà Napoli. Là essi erano molto vicini ai campi Flegrei; e nelle regioni interne verso sud-est avevano come vicini gli Enotri padroni di tutta l'Italia meridionale" (Od., VII, 59).

Cuma donò all'Italia e ai popoli d'Occidente il prodigio dell'alfabeto calcido-cumano (divenuto poi latino) ed infine un'organizzazione marittima che fu il nerbo della sua potenza. Secondo Dionigi di Alicarnasso, nel VI secolo a.C. , "Cuma era celebre in Italia per la ricchezza, per la forza e per ogni altro bene e disponeva dei porti più attrezzati intorno a Miseno".

Certamente Acquamorta (loc marittima situata sulla costa ovest di Monte di Procida) costituiva uno di questi porti, da cui si mosse l'armata navale cumano-siracusana, agli ordini di Gerone II, per sbaragliare la poderosa flotta punico-etrusca nella famosa battaglia sul mare (474 a.c.), cantata da Pindaro.

Nel 64 d.c. sulle spiagge del Monte, naufragò la flotta imperiale, fatta salpare da Formia, su suo ordine, nonostante la tempesta in corso. Scrisse Tacito: "…mentre tentarono di aggirare il promontorio di Miseno, i nocchieri furono respinti e sbattuti sulle spiagge cumane dalla violenza dello scirocco (africo) e perdettero la maggior parte delle tiremi e i navigli più piccoli si sparsero qua e là".

Dalle indicazioni topografiche offerte da Tacito non è difficile localizzare la catastrofe tra le spiagge di Fumo, Acquamorta e Procida.

Più tardi, il Monte fu compreso anche nella colonia di Miseno con l'imperatore Claudio, fu chiamato Mons Misenus mentre Capo Miseno Promontorium Miseni :

…'mica sarebbe una scoperta, perché di esso forma il masso principale nel promontorio naturale, il quale abbraccia tutta la piccola penisola rinchiusa tra il seno bajano e la palude Acherusia (Fusaro) anche essa mare. Il promontorio di Miseno termina a tre punte: dei Penati (Pennata) a levante, di Fumo a ponente, e di Miseno proprio a austro. Siccome questa punta è la più inoltrata, ritiene più particolarmente il nome principale. E' perciò più che naturale che gli antichi abbiano compreso sotto il nome di promontorio di Miseno anche il Monte di Procida attuale, come sotto la denominazione di promontorio Gargano è sempre stato compreso tutto quel gruppo di monti, che si sporgono in Adriatico. Dai Romani il Monte fu destinato a sito di ville patrizie, rustiche e residenziali pei familiari dei militari della flotta misenese. (Abate Galanti).

Soltanto centodieci anni fa scrive M. Parascandola che… "sulla piana della contrada Croce, a destra salendo dalla Chiesa e per l'estensione di un moggio, costeggiato dalle proprietà Schiano Lomoriello, Uccio, Fabrizio e Manzi, si vedono ruderi di grandi muri di fabbrica antica con forma bislunga di palmi 30 circa con intonaco antico, con un tratto di pavimento a mosaico e un condotto d'acqua e gl'indizi di un pozzo…" (da M. Parascandola Cenni storici…).

I coloni assicuravano che trattavasi di grandi conserve d'acqua, le cisterne, poiché diverse bocche e spiragli esistevano.

Le piscine sul Monte di Procida erano frequentissime, me le ricordo ancora tra i cellai di fine settecento e le case coloniche con i tetti a volta, a tutto sesto, solo trentatrè anni fa: avevo sei anni!

Ogni casa colonica una piscina con il secchio e la carrucola, ogni cellaio una piscina con secchio e carrucola; e le vasche, grandi vasche per lavare il bucato o la canapa, il lino, e altre fibre che venivano poi filate dalle nostre nonne con uno strumento che si chiamava 'Fuso e Conocchia'.

Ogni stradina all'incrocio aveva una fontanella in bronzo scuro, proprio come quelle di Roma, una piccola colonna di bronzo con capitello a forma di Leone che dalla bocca sgorgava acqua.

Una Fontanella all'incrocio tra via Le Croci e via P. di Piemonte, una fontanella tra via Allegra e Corso Garibaldi, una fontanella in p.ta S. Antonio, una fontanella in piazza XVII gennaio.

Alcune stradine: quelle laterali alle provinciali, erano tutte in basolato con pietre vulcaniche o sanpietrini, proprio come le antiche strade romane, poi i sentieri o le 'mulattiere?' consentivano di attraversare i vigneti rigogliosi, che a me bimba di sei anni sembravano boschi, per arrivare a casa della nonna, un complesso 'rustico' munito persino di 'parracine'.

Non sempre si è riusciti a conoscere dimensioni ed epoca dei ruderi, cisterne e reperti segnalati durante il disboscamento, la colonizzazione del sei settecento e la costruzione dei fabbricati dell'otto-novecento.

Non è solo la tradizione orale (il toponimo Case Vecchie si spiega con la preesistenza di ruderi romani), ma anche episodi rilevanti di ritrovamenti archeologici ci portano a concludere che il Monte è legittimo partecipe della storia antica dei Campi Flegrei. Persino di strutture sottomarine si è parlato intorno a San Martino e nei fondali della Baia dei Porci si narra siano stati 'pescati' reperti preziosi di bronzo, ceramica e marmo.

Qualcuno più adulto di me per età, mi racconta perché la località Cercone si chiama cosi. La parola è un neologismo derivata dal 'vernacolo' che significa 'Grande quercia'. Sembra che proprio lì all'incrocio tra via Torregaveta, via P.di Piemonte e corso Garibaldi vivesse felicemente questa grande e immensa quercia, la quercia con il diametro più grande di tutte le altre querce esistenti nel Paese.

"Nella cava e nella pozzolana a destra salendo dalla Marina a Torre Fumo o Vite e precisamente nel fondo di Michele e Crescenzo Coppola, alla profondità di metri 4 si sono trovati diversi sepolcri, due interi e due disfatti con scheletri ed ossa umane chiusi con grossi mattoni con l'incisione della fabbrica, con diverse ampolline di vetro in forma di astuccio, detti degli antichi lagrimatorii (da M. Parascandola Cenni storici…)

Ma… proviamo a vedere cosa c'è nella loc. che viene definita la Vite, oggi…

Mi sono ritrovata a percorrere le strade del paese e, cercare nei palazzi qualcosa che in un passato recente mi è appartenuto, un timpano neoclassico di un balcone, l'orecchio barocco' di un portone, un capitello corinzio all'ingresso di una casa, l'arco a tutto sesto di un portone ottocentesco, la soglia di basalto, la pietra dei casolari che ricordano il tufo cumano, le grotte di opossum laterizio che conducevano al mare dalla loc. stufe di Nerone, giù fino a punta Epitaffio, per finire a Torregaveta. Qualcosa sì, che mi è appartenuto, sin da che sono nata, nel recente novecento e forse, in altre vite , per altri mari ed altre caldere.

Ma… la loc. stufe di Nerone non ha più le discese in laterizio romano alle spiaggette, sono chiuse, dichiarate 'pericolose' da tanto tempo. Sulla strada provinciale antistante la montagna di tufo e pozzolana, oggi è 'ponteggiata' già da un bel po' di anni, dopo che nel 1985 ci fu la famosa frana di Punta Epitaffio che isolò tutto e tutti.

Ora il costone litoraneo che dalle stufe di Nerone giunge a Punta Epitaffio è un bellissimo muro: un muro di tufo cementificato, non so come, ma è un muro, nessuna pianta, nessun albero, nessuna macchia mediterranea!

'Non puoi pretendere di trovare le cose sempre al loro posto' – mi disse un giorno mio padre a una mia ennesima lamentela sulla 'cementificazione selvaggia' del territorio, ad un mio rientro da Milano.

Mi era sembrato di capire da alcuni studi del Presidente dell'Osservatorio Vesuviano Michele Luongo e dell'Urbanista Pier Luigi Cevellati che non fosse la 'siringa di cemento' o 'l'impasto cementificato del tufo' il rimedio alle 'frane' sul territorio, ma… forse si sbagliavano?!

Campi flegrei, detti ardenti, non hanno più niente di originariamente 'ardente', le sorgenti d'acqua calda sono ormai 'chiuse' tra mura privatizzate, per cui, l'originaria caratteristica del territorio dov'è?

Tuttavia esso, per la sua natura geo-fisica è bradisismico, il che significa una 'soglia di rischio' da scegliere, per la popolazione, l'effetto del 'peso edilizio' eccessivo è anche 'crollo'.

Ma… densità di popolazione alta?

Oppure … tutti con 'grande senso della proprietà privata', così ancorati ad un originario individualismo borghese che farebbe inorridire lo stesso Macpherson. L'assenza di un piano regolatore generale e di piani di fabbricazione, producono ancora oggi, il proliferare di 'un'illegalità edilizia' diffusa, immemore tra l'altro degli stili architettonici mediterranei, quello rurale, e quello antropologico dei 'luoghi'.

Qui, gli studi di Le Corbusieur su Modernismo e modernità non so se trovano un loro senso, oppure un effettivo 'non sense', perché dei legami antropologici tra Nord e Sud, tra il grande Shinkel e le cupole dolci delle 'chiese greche', i patii a volta, le linee armoniose dell'architettura procidana, le classiche geometrie dei colombari romani e… le case rurali che ci portavano a Cartagine, nulla più è rimasto.

Per cui… gli stupendi lavori dell'arch. Benedetto Gravagnuolo (Università di Napoli) su 'Mediterraneo:abitare l'arcipelago', restano 'lavori di studio', bellissimi da guardare in presentazione ad Ischia, isola in parte 'salvata' da una 'edilizia selvaggia'.

Monte di Procida costituisce l'emblema dell'esasperato individualismo borghese, proprietà private sempre più grandi in "stile" architettonico anni sessanta e settanta, sono state costruite distruggendo tutti e tutto, scatenando una lotta 'all'ultimo sangue' tra i cittadini, che dimenticando di essere fratelli, fratelli di sangue e di terra, 'coloni' che giunsero nel XVII sec. dall'isola di Procida, cui il territorio del Monte era stato aggregato dalla giurisdizione religiosa, vennero qui per 'lavorarvi la terra'.

Così 'limiti alle vedute' violate impunemente, normative sui confini e le distanze tra le abitazioni disattese, muri divisori o comuni altissimi e, ciò che più deprime, muri… alti muri: tutti costruiti con cemento, strade sterrate trasformate in viottoli bituminati.

Nessun muretto in pietra di tufo, nessuna fontanella di bronzo scuro con i leoncelli romani, nessuna grande quercia o albero secolare agli incroci e nelle piazze, la 'grande quercia' del Cercone è stata sostituita da un 'obelisco?' in 'materiale da me non meglio identificato' a metà tra l'acciaio e la plastica.

Le stradine con i sanpietrini o il basolato con pietre vulcaniche, hanno lasciato il posto alle strade iper-bituminate, infinitamente rattoppate, le opere di sistemazione degli scoli delle acque sono inesistenti. Non esiste più uno spazio verde non recintato.

Dove sono finiti i Pini marittimi che abitavano Pza XXVII Gennaio e le Palme? E il viale alberato di Corso Garibaldi e Corso Umberto I, come lo volle Mussolini?!

La costa che congiunge loc. Acquamorta con Torregaveta, passando per la baia dei Porci, la Colombaia e Punta Papò sta crollando, ogni anno ne crolla un pezzetto. Quest'anno alla fine di ottobre è crollata la Colombaia! Il duemila si è chiuso con il crollo della costa situata in loc. Colombaia, creando disagio ad otto famiglie, che abitando sulla 'cima' della medesima

Che hanno visto emanare un'ordinanza di inagibilità dal Sindaco uscente, perché gli edifici 'rischiavano' di precipitare nel mare.

La Colombaia, situata tra loc. Torregaveta e l'Isolotto di S. Martino era nell'ottocento, l'antica 'polis' – del Monte. Sulla sua cima vi era il primo 'Paesello' dove i cittadini 'allevavano' per diletto e per amore i colombi che si andavano poi a posare lungo la costa, tra gli stupendi scogli, che il mare e il vento con la loro forza hanno trasformato in splendide 'architetture organiche'.

Mi racconta Gioacchino, l'amico etico che mi accompagna via mare, che questo luogo in Febbraio porta le voci dolci e tremende del mare, proprio come il canto delle sirene per le orecchie di Odisseo, perché le innumerevoli grotticelle e anfratti in questo periodo dell'anno, consentono alla marea di poter lanciare il proprio 'sospiro' oltre le naturali mura della collina.

Puoi sentirle dal mare a venti trenta metri di distanza, le voci, rilassandoti ed ascoltando il tuo respiro; le voci del mare, le conoscono bene i pescatori che all'alba ancora cercano di pescare al largo, con amo e lenza o reti e canaste.

'Pronto, sono Assunta, ascolta ho da dirti qualcosa di importante…' 'Assunta, ascolta, io non vengo stasera alla riunione, Assunta ascolta, c'è stata una frana … Assunta, mi ascolti…..? 'Si, ma devo parlarti seriamente, è necessario svolgere degli adempimenti…per… 'Assunta, mi ascolti, c'è stata una frana…… io non so se ci sarò stasera avverti gli altri!

La realtà dei coloni fu in espansione tra il 1810 e 1820. Tra gli atti del periodo affiorano i nomi di queste località, che costituiranno poi l'innervatura urbanistica del Monte: Sopra la Chiesa, Torreone, Sopra le case, Pedecone, Sopra le case vecchie, San Martino, Sopra del Fumo Nuovo, Vicaria, Dietro al pozzo, Petrara, Pozzillo, Cercone, Alle Coste, Cappella, Acquamorta ossia Pietra della Marchesa, Cupillo, Sopra la Gaveta (o la Gaveda), Inferno, Montegrillo, Miliscola, Basso la vite, Corsara, Cavone della vita, Mercato di sabato, Falda del Monte, Zicardo, Marina, Curato.

Monte di Procida nel 1892 "ha 25 strade, cioè due provinciali, 14 comunali e nove vicinali che formano una rete stradale dalla lunghezza di chilometri 13,785, di cui chilometro 1 e 538 m. è basolato con pietre vulcaniche. I suoi abitanti con l'ultimo censimento del 1881, compresa cappella, erano 3665. In tale epoca vi erano 172 case agglomerate ed abitate, vuote 28, sparse abitate 341, sparse vuote 107, totale abitate 513, vuote 135. Famiglie agglomerate in ciascuna frazione 318, sparse nella campagna 462, totale 780.

Prima vi erano varie torri nei vari punti sporgenti sul mare, come quella che io ricordo fuori il Cimitero e distrutta appunto nella sua costruzione per servirsi di quei materiali ed ecco perché questo sito si dice Torrione, come pure quella di Torre Gaveta la quale, fu innalzata su antichi ruderi. La denominazione di Case Vecchie è derivata dal perché in quel sito vi erano ruderi ed avanzi di case antiche e di qualche Torre, ed i diversi smalti antichi che si sono trovati, lo dimostrano. Oggi però il numero delle case è cresciuto, giacchè di anno in anno sorgono nuovi fabbricati. Come pure la popolazione è in aumento. Varie sono le ragioni del rapido sviluppo che da pochi anni a questa parte ha ricevuto il Monte di Procida. Per me credo che sia dovuto primariamente all'opera delle bonifiche, per la quale le acque stagnanti che vi erano alle falde del monte dalla parte di Torre Gaveta sono state prosciugate e per le banchine fatte al Fusaro e Maremorto, giacchè tutto ciò ha scongiurato il pericolo che prima vi era di contrarre la febbre palustre. Inoltre la Crittogama alle viti, per la quale i terreni trovavasi fittati con estagli mitissimi, il prezzo favoloso dei suoi vini rinomati da per tutto, il taglio della pozzolana sceltissima per fabbricare e finalmente la via Provinciale che dalla Chiesa scende al piano, la ferrovia Cumana da Torregaveta a monte santo di Napoli, tutte queste cose e le altre che si faranno, cioè il nuovo tronco di via provinciale dalla Chiesa all'Acqua morta, la stazione a Miliscola della Ferrovia Economica (Cumana), come si dice, fanno presagire alla Borgata di Monte di Procida uno sviluppo maggiore ed un lieto avvenire ai suoi abitanti". (Michele Parascandolo Cenni storici intorno alla città ed isola di Procida, ed. tipografico Letterario).

Assunta Patrizia Esposito (2001)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti Assunta.
Molto interessante e direi toccante!

Un tuo compaesano.

erme ha detto...

Gentile signira Esposito,a MONTE DI PROCIDA esiste una località che ricorda quella di "pedicone" del mio paese (POZZILLI-Isernia).Conosce l'etimologia di "pedecone"(pedicone)?
Grazie ed in bocc'al lupo.ERME

erme ha detto...

Gentilissima,mi dice per favore l'etimologia di pedicone(pedecone)?
Grazie.
passarelli.pozzilli@gmail.com
ERME

erme ha detto...

Gentilissima,mi dice per favore l'etimologia di pedicone(pedecone)?
Grazie.
passarelli.pozzilli@gmail.com

erme ha detto...

Gentilissima,mi dice per favore l'etimologia di pedicone(pedecone)?
Grazie.
passarelli.pozzilli@gmail.com