SUPERSANTOS, il cortometraggio


lunedì 19 maggio 2008

ECOMETROCUBO, il piombo di quei giorni.

di Antonella Palmieri, ADA, Associazione Donne Architetto - Napoli

Non erano i tempi “……delle more e dei giochi” né quelli dell’”Acqua Chiara”, non c’entravano niente né Rostand né Raffaele La Capria: erano i giorni dell’immondizia. Quella fisica, dei cumuli che arrivano alla gola. In quei giorni ho incontrato Mina .
Abbiamo percorso insieme una lunga strada sotto una pioggia costante. Avevamo partecipato ad una riunione in un luogo, tuttora esistente al centro della città, che sembra un pezzo di Sarajevo. Il giorno dopo la fine della guerra.
Ci eravamo dette alcune cose: lei mi aveva detto che………… stava lavorando ma non mi disse esattamente a che. Avevo la sensazione che avesse trovato, in quello che stava facendo, un senso forte ma aveva bisogno di definirlo, di articolarlo. E perciò ne parlava.
Parecchio tempo dopo mi arrivò un invito: presentava il suo lavoro, c’era una immagine, un nome. C’era allegria.
Della creazione artistica non credo si possa rivelare lo sforzo se non nel momento in cui lo sforzo è in atto e la costruzione è compiuta. lei l’aveva compiuta. Era libera.
E ora che la costruzione sta per compiersi nuovamente e l’eco-metro cubo prende vita io so di cosa è fatto: è fatto di legno, di resti di altre lavorazioni, altri oggetti, altre esistenze, altra natura, altri racconti e di semi di papavero e di piombo colato. E di molto altro.
Il piombo di riciclo era il piombo di quei giorni, era la sua, la nostra impotenza totale, la paralisi, era ed è il piombo di Saturno.
I semi blu da cui, e sembra una magia, nascono i fiori carmini del papavero: la consolazione, la speranza , ma anche eros nell’insegnamento platonico: il più potente dei vincoli tra gli individui che si trasforma in legame culturale, in eros civile,in “speranza responsabile”e da lì in civilità.
E’ così che nasce e si costruisce questa architettura, “sostanza di cose sperate” e come prende forma il nome delle cosa: il metrocubo; un termine molto usato, una unità di misura ricorrente : mille metri cubi; 100mila metri cubi…………. ma 1 metro cubo si studia solo a scuola.
E allora eccolo il nome della cosa: finalmente , in tutta la sua prestanza ………… un Metro cubo. E che però è fatto di carne e di sangue e vive e viene collocato, per avventura qua.
Un luogo di trasformazione, di mutamento di senso appena avvenuto, di cicatrice fresca. E cerca il dialogo, cerca l’armonia, la sostenibilità dell’essere.
Ha scelto per il suo sforzo le parole sul tempo di Paul Valéry, da L’anima e la danza.
Affida a Valéry anche il significato delle lente progressioni, come lenta è la progressione che porta alla costruzione dell’opera; lunghe progressioni in circonvoluzioni avvolgenti, in avvicinamenti circospetti di artisti, rigorosi costruttori di improbabilità.
Ma anche costruttori del nesso, o di nessi plurimi possibili tra parola/oggetto e sensazioni tra l’idea e il suo trasformarsi in opera. “Socrate: certo l’oggetto unico e perpetuo dell’anima è appunto ciò che non esiste, ciò che fu e che non è più ciò che sarà e non è ancora ciò che è possibile – ciò che è impossibile, ecco ciò che interessa l’anima, ma mai mai ciò che è”.
Che l’opera abbia quindi solo la propria memoria fattuale in opposizione alla memoria storica. Perché il passato ha valore solo come elemento dell’avvenire, le reliquie della vita vissuta sono del tutto prive di interesse se non che per la capacità delle cose di “secernere il domani.”

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